VIVERE IL LUTTO

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Il lutto è un avvenimento complesso che coinvolge la nostra vita psichica in una serie di stati emotivi e cognitivi, un lungo e doloroso passaggio che comporta la modificazione dell’equilibrio personale e delle relazioni esistenti tra i membri della famiglia.

Vivere il lutto in famiglia richiede la comprensione di quello che stà accadendo, il desiderio di sostenersi a vicenda per affrontare la situazione, un modo di comunicare e riorganizzare il funzionamento del quotidiano per ritrovare un certo grado di stabilità.

Ogni membro della famiglia ha bisogno di gestire la perdita a modo suo, in funzione della propria interpretazione della situazione, delle capacità di adattamento. La morte di un membro della famiglia può portare a rafforzare le relazioni, consentire che ciascuno si apra alla sofferenza dell’altro, ma spesso può anche riattivare  vecchi conflitti, ravvivare le incomprensioni, suscitare separazioni.

Vivere il lutto significa attraversare una crisi importante della vita, percorrere un sentiero spinoso al termine del quale è possibile scoprire un senso, un significato per ciò che abbiamo vissuto.

Ogni lutto è unico, ogni lutto è vissuto in funzione del tipo di relazione che chi ne è colpito aveva con la persona deceduta.

In ogni caso il processo di lutto più essere definito un processo di cicatrizzazione. Come una ferita fisica, questa ferita affettiva ha bisogno di molte cure.

Esistono numerose teorie che tentano di spiegare cosa succede dinnanzi ad un evento doloroso quale il lutto.

In base alla teoria dell’attaccamento di Bowlby, l’assenza di una figura di attaccamento attiva il sistema motivazionale innato dell’attaccamento che spinge la persona a cercare quella figura e quando questi sforzi falliscono si vive il lutto.

Il modo in cui una persona risponde ad una perdita deriva dal modo in cui il suo sistema di attaccamento si è organizzato nel corso dello sviluppo, oltre che da fattori quali il legame con il defunto, la natura del decesso, il tipo di famiglia.

Bowlby individua 4 fasi del lutto:

  1. Fase dello stordimento o incredulità che dura alcune ore (ma nei casi più gravi può durare molto più a lungo): chi ha subito un lutto non riesce quasi a comprendere quanto avvenuto. Entro qualche ora o giorno la persona comincia a rendersi conto della perdita (anche se in modo discontinuo) e questo provoca uno stato di allarme che porta nel corpo i classici sintomi di stress.
  2. Fase della ricerca e dello struggimento caratterizzata da allarme, tensione, insonnia, assorbimento nel pensiero della persone perduta, richiamo attivo alla persona perduta, dispercezioni uditive e visive. Di seguito subentra la collera, che è vista da Bowlby come un elemento fondamentale per la ristrutturazione interna della persona che ha subito l’abbandono.
  3. Fase della disperazione: c’è un minor grado di attenzione e di arousal, mentre aumenta la tristezza e l’umore depresso. In questa fase la persona si sente frammentata e svuotata. Questa fase può durare diversi mesi. 
  4.  Fase della riorganizzazione: la persona sopporta il tormento emotivo dovuto alla perdita, arriva ad ammettere ed accettare tale perdita come definitiva e comprende che la propria vita deve subire una modificazione. In questa fase si ha dunque una riorganizzazione interna ed un recupero delle attività quotidiane.

La risoluzione del lutto sembra spesso comportare lo sviluppo di un legame diverso con la persona deceduta, non la fine del legame. L’elaborazione del lutto non traumatico solitamente si esplica dai 6-12 mesi dalla perdita ma i tempi del lutto sono soggettivi; comunque in quasi tutti gli individui dopo due anni dalla perdita è comune ricominciare a vivere senza essere più turbati emotivamente nel presente.

La psicoterapia può rivelarsi utile per prevenire possibili complicanze nelle varie fasi del lutto, mentre diventa indispensabile in situazioni in cui si associ a psicopatologie o situazioni traumatiche.

Letto 1928 volte Ultima modifica il Domenica, 03 Maggio 2020 20:04

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