Nasce dal tentativo di eliminare, evitare o controllare gli eventi che originano da pensieri, emozioni o percezioni corporee negative. Possiamo dunque definirlo come la mancanza di disponibilità a rimanere in contatto con particolari esperienze, associata a tentativi di fuga o di rifiuto di tali esperienze.
La sofferenza psicologica che si vuole evitare è in buona parte il risultato di emozioni legate a situazioni relazionali appena successe o che hanno origine nel passato.
L’evitamento esperienziale può funzionare nel breve termine, ma porta paradossalmente ad un successivo aumento degli eventi destinati all’evitamento e non risolve il malessere interno. Infatti, i tentativi finalizzati ad eliminare, controllare o evitare emozioni o pensieri spiacevoli possono aumentarne la frequenza e l’impatto comportamentale.
Uno degli aspetti problematici dell’evitamento esperienziale è che, cercando di non sentire certe emozioni, alla fine non si capirà più che cosa si prova in generale, si diventa meno sensibili alle emozioni. Questo è molto pericoloso, perché equivale a privarsi di un potente sistema naturale di segnalazione interna di ciò che accade nell’ambiente che ci circonda. Il rischio è quello di commettere degli errori, soprattutto nell’area dei rapporti interpersonali, perché non si è più in grado di riconoscere quei segnali emotivi importanti.
Possiamo paragonare evitare l’esperienza come al mettere la mano su una stufa bollente e lasciare che si bruci perché si è perso il senso del dolore.
Un secondo aspetto problematico dell’evitamento esperienziale, per certi versi opposto al precedente, è che, chi evita le proprie emozioni tende a rispondere più intensamente agli eventi, sia positivi che negativi: sforzarsi di non provare una certa emozione ha l’effetto di aumentare quell’emozione. Pertanto, quella che potrebbe sembrare una soluzione finisce per diventare il problema.
Una possibile conseguenza del comportamento di evitamento è un vero e proprio blocco nell’agire: per evitare di entrare in contatto con contenuti dolorosi o spaventosi, la persona finisce per fermare la sua vita, non viversi le esperienze che si presentano nel qui e ora, perdere delle opportunità, rinunciando ad agire verso i propri obiettivi.
Sia l’evitamento esperienziale che il controllo sono meccanismi talmente radicati da innescarsi spesso senza che la persona ne sia consapevole.
Dunque, per indebolire l’evitamento esperienziale è necessario prima di tutto acquisire consapevolezza del modo in cui si tenta di evitare o di controllare alcune esperienze, e solo successivamente esaminare la funzionalità di queste strategie. Chiedersi a cosa serve un certo comportamento che si è messo in atto e considerare i “costi” di tale azione è un primo passo importante.
Una metafora molto utilizzata per sottolineare l’inefficacia dell’evitamento esperienziale, fa riferimento al tentativo del tirarsi fuori da una buca, avendo come unico mezzo a disposizione una pala. I comportamenti di evitamento possono essere interpretati come un continuare a “scavarsi la buca” portando via molta energia ma senza uscire dal problema.
L’accettazione è un importante processo per contrastare l’evitamento esperienziale. Accettare significa accogliere ciò che viene, ovvero emozioni, pensieri e sensazioni dolorose. Questo non significa arrendersi, ma al contrario è il processo che rende veramente possibile il cambiamento.
Un valido aiuto sono le cosiddette Psicoterapie di “Terza Generazione” che
guidano la persona ad entrare in contatto con gli stati di malessere, modificarne la funzione che essi assumono e cambiare i propri comportamenti. Si incoraggia a fare esperienza di emozioni e pensieri per quelli che sono; è solo in questo modo che la persona riesce ad essere in contatto con il momento presente in modo più consapevole e viversi le situazioni di vita in modo spontaneo, apprezzandole in pieno e senza essere condizionati da pensieri o paure.